Il verbale del giorno dell’arresto del super latitante è stato pubblicato oggi: al suo interno rivelazioni shock del capo dei capi.
Il verbale scritto il giorno della cattura di Matteo Messina Denaro è stato reso pubblico. La conversazione dello scorso 16 gennaio avvenuta fra il capo di Cosa Nostra ed i magistrati di Palermo è stata infatti inserita nella documentazione con cui la procura ha chiesto l’archiviazione per le accuse contro Alfonso Tumbarello, medico indagato per un presunto favoreggiamento della latitanza del boss.
“Era giusto che io andassi in carcere – ha detto nel lungo interrogatorio Messina Denaro – se mi prendevate. E ci siamo arrivati. Ma una domanda così, che lascia il tempo che trova: ma cosa è cambiato secondo lei? C’è una corruzione fuori, c’è una corruzione fuori indecente… si sono concentrati sempre tutti su di me e quello che c’è fuori forse voi pensate di immaginarlo tutto ma non lo sapete tutto“.
“Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia“, questa la sentenza del boss sulla sua cattura.
Il bambino sciolto nell’acido
Nel corso del suo lungo interrogatorio, Matteo Messina Denaro si è discolpato dell’accusa di aver sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo: “Suo fratello – si riferisce a Vincenzo Brusca – era in un bunker della casa in campagna, dove poi effettivamente fu ucciso il bambino e ci dice, in siciliano: “Alliberati du cagnuleddu”, lui lo dice, non è che lo dico io. Quindi già lui… dà ordine di uccidere questo ragazzino, bambino. Lui poi si fa… si parte, va nel covo di San Giuseppe, scende laggiù e c’era suo fratello ed altri tre affiliati a loro; dei tre, io mi ricordo il cognome di uno, un certo Chiodo, gli altri due non penso, però sono tutti e cinque pentiti. Che dicono tutti e cinque? Che il bambino lo ha ucciso Vincenzo Brusca; quando arrivò lui, lo hanno sciolto nell’acido. Punto“.
“Alla fine – continua il capo dei capi – andò a finire che ‘sto bambino l’ho ammazzato io, dovunque c’è un inferno per “stu bambino e nessuno, dico, si prende… anche per un fatto di onestà, dice… Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece, secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido ed alla fine quello a pagare sono io?”.
“Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire? Ma non è che voglio die che voglio fare la vittima – chiosa sull’argomento il boss – non ne voglio fare vittimismo, nono sono uomo di questo, però diamo a Cesare quel che è di Cesare. Tutto contro di me, ma perché?”.
La latitanza
Messina Denaro ha poi parlato della sua latitanza e, specificatamente, dei suoi ultimi anni a Campobello di Mazara, la cittadina in cui è stato trovato il covo in cui viveva, poco lontano da Castelvetrano.
“Allora, se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello – ha commentato ridendo il capo di Cosa Nostra -. penso che dovete arrestare da due a tremila persone, di questo si tratta”.
“Non sarò mai un pentito”
L’affermazione più sconvolgente di Matteo Messina Denaro, però, arriva proprio alla fine del suo interrogatorio, quando i magistrati gli chiedono della strage di Capaci in cui ha perso la vita Giovanni Falcone. Il boss, infatti, ha chiuso la sua conversazione con i giudici con un tombale: “Io non mi farò pentito“.